lunedì 31 ottobre 2011

La santità


La santità, biblicamente intesa, viene definita dal termine CADOSH, appunto "santo". Dio infatti nella Sua perfezione è Cadosh, Cadosh, Cadosh, cioè tre volte santo. 
Cioè sommamente e perfettamente santo. Dove la santità non è l'aureola o la riconoscenza del favore del popolo dei credenti ma l'essenza stessa di Dio. 
Dio è santo, cioè separato, tutt'altro; non è inquadrabile, non chiudibile in uno schema; neanche nella Parola di Dio stessa che rivela Dio ma non lo racchiude. Proprio per questo è importante l'azione continua dello Spirito Santonell'autocoscienza della Chiesa (nel suo magistero e nella sua guida) e nel singolo fedele.
E' grazie a questa trascendenza che Dio si fa immanenza, cioè compagno dell'uomo, in Gesù Cristo. E' grazie alla Sua trascendenza che Dio in Gesù ti chiede di "odiare", cioè di porre un "fine" a ciò che è finito e riconoscere la realtà. Lo scotto da pagare alla mancanza di "odio" è la fine della gioia,  il vuoto, la disperazione e la distrazione dalle vere necessità tue e del fratello. Certo "odiare" costa e talvolta si sceglie di rimanere nella prigione dorata dell'ignoranza, del "tiriamo innanzi", nello smarrimento di cui siamo più carnefici che vittime.

Interessante è considerare che il termine Cadosh deriva da Cadash, l'atto con cui viene reciso il cordone ombelicale. Cioè il gesto con cui si inizia una autonomia ed un'esistenza. Ecco perché non si può essere santi senza "tagliare" tutto ciò che è cordone ombelicale; ecco perché non si può maturare nella fede senza "odiare"tuo padre, tua madre, tua moglie, i tuoi figli, i tuoi fratelli, le tue sorelle e perfino la tua vita...;
ecco perché non si può essere adulti psichicamente se non si dice "fine" e il senso del limite di ciò che non è eterno. Porre il fine è definire, è riconoscere che tutto è un dono continuo di un Padre amoroso; anche la croce, qualunque essa sia, perché nel suo mistero svela chi sei veramente tu proponendo un iter di trascendenza.
Ogni sofferenza merita rispetto, silenzio, epokè, vicinanza, con-passione... ma anche questa è una "cosa finita" che non va assolutizzata ripiegando il nostro volto sul dolore.. perché la gioia è alla tua porta e bussa costantemente.
"Odiare", tagliare il cordone ombelicale, santificarsi significa, allora, aprire quella porta e far entrare con Gesù tutti quelli che incontrerai.

sabato 29 ottobre 2011

Ancora immagini delle prime comunioni


I nostri ragazzi durante la processione offertoriale......



















 le ragazze durante la liturgia Eucaristica










La foto di gruppo con Padre Mateo , un sacerdote degli USA, da alcuni mesi é qui da noi, in Bolivia, dove rimarrá fino a gennaio. I bambini gli vogliono molto bene,  sono affezionati a lui anche perché padre Mateo è molto bravo con i ragazzi e trascorre molto tempo a giocare con loro.

Affidiamo i nostri giovani alla Vergine Immacolata affinché possano essere veri testimoni di Cristo.

giovedì 27 ottobre 2011

Prime comunioni

Lo scorso 9 Ottobre ben 192 giovani dai 9 ai 16 anni circa hanno ricevuto per la prima volta la Santa Eucaristia.










Molti di loro hanno ricevuto il Battesimo la domenica precedente, ed erano molto felici per aver ricevuto questi Sacramenti cosí importanti.






Affidiamo al Signore questi nostri ragazzi con la speranza che possano amare il Signore a tal punto da accostarsi costantemente al Corpo e al Sangue di Cristo per tutta la loro esistenza

domenica 23 ottobre 2011

ESPERIENZA DI VOLONTARIATO MISSIONARIO

E' passato un mese dal mio ritorno dalla Bolivia.
Da questo viaggio, anzi da questa esperienza che ora vorrei raccontare.
Non conoscevo quasi nulla di questa nazione, men che meno della città Montero che mi avrebbe ospitato.
Non conoscevo le persone che mi avrebbero accolto, conoscevo poco i miei compagni di viaggio e conoscevo poco gli effetti che avrei subito a quelle latitudini: ma conoscevo le mie motivazioni e questo mi bastava.
L'Istituto Missionarie dell’Immacolata – Padre Kolbe di Borgonuovo ci prepara per il viaggio, dandoci istruzioni per il viaggio e per la permanenza ma la mia curiosità, anziché acquietarsi, aumenta.
Arriva il giorno della partenza, prendiamo l'aereo a Roma, attraversiamo l'Oceano Atlantico ed eccoci in Sud America: Caracas-Lima-La Paz-Santa Cruz. Scendiamo nel pieno della notte e due Missionarie ci vengono incontro dandoci il benvenuto. Breve viaggio in macchina ed arriviamo a destinazione: sono così frastornato dal viaggio, dalla stanchezza, dalla novità che non ascolto niente di quello che mi viene detto; mi sdraio in un letto, sbalordito e stravolto da quello che sto vivendo, vorrei riflettere su tutto questo ma mi addormento.
Il mattino seguente comincia la mia permanenza nel centro Missionariodell'Immacolata - Padre Kolbe di Montero.
Ci presentiamo tutti quanti, ci conosciamo meglio e visitiamo il centro in tutte le sue attività: le principali sono il centro medico molto organizzato ed ottimamente guidato, un centro sociale con diverse funzioni al suo interno ed altrettanto ottimamente guidato, un kinder per i bambini con diversi esercizi al  suo interno ed anch'esso ottimamente guidato. Tutto il centro è coordinato e guidato da una responsabile: una Missionaria straordinaria nei modi e nei gesti.
Dopo pranzo cominciamo le nostre  mansioni. Esse sono costituite per la maggior parte da piccoli lavori di manutenzione e manovalanza, oppure dalla preparazione e divisione di pacchi di generi alimentari per la maggior parte provenienti da donazioni ed adozioni a distanza.
Sono intervallati da uscite, sempre accompagnati da Missionarie, in visita nei barrios della città dove incontriamo ed intratteniamo i bambini che li abitano. Partecipiamo a molte manifestazioni religiose interne ed esterne, andiamo in visita portando cibo e materassi ai carcerati della prigione di Montero: entriamo senza quasi accorgerci, in modo molto naturale, nella vita quotidiana di quella missione, di quella città, di quella gente, ed approfondiamo sempre di più la conoscenza delle Missionarie.
Di questi giorni vorrei sottolineare alcuni passaggi.
Io penso che la povertà non ha una posizione geografica, non ha colore e non ha un marchio registrato; la si può incontrare ovunque, anche in zone sviluppate dove la ricchezza non è ancora arrivata ma un organizzazione sociale comunque è presente.
 Lì invece si manifesta spontaneamente, fa parte della natura di quel luogo.
 Finisce la città, comincia la periferia (chiamamola così.....) e ti trovi nell'ambiente di quel posto dove nel paesaggio, tra alberi e sentieri incontri capanne o “case” di mattoni senza servizi; né acqua (spesso andavamo in una radura a giocare con i bambini dove le Missionarie avevano costruito un pozzo collegato ad una fontanella per dare acqua agli abitanti del posto) e luce; in coabitazione con animali di vario genere, ma popolate da moltissimi bambini.
E quando ti fermi e giochi con loro l'impressione che ne ricavi è che vi partecipano in maniera  più completa ed impegnata, come se quel gioco diventasse più vivo e più importante. Li senti più vicini e più calorosi, ti accolgono con uno slancio e generosità che ti rapiscono, e questa frequentazione più diventa assidua e più ti scalda il cuore e ti appaga.
 Ed i genitori di questi bambini?
Questa è la grande emergenza sociale che ho incontrato: l'assenza quasi totale del concetto di famiglia, di padre e madre che curano i propri figli, del costruire insieme un percorso, della pianificazione della vita del proprio nucleo; che si può ottenere anche nelle difficoltà economiche  di qualsiasi posto dove si vive e con tutti  i limiti e privazioni del caso, mentre li a Montero sembra non accadere. Non che tutta la città viva in questo modo, ma in gran parte sembra così.
Mi confidavano alcune sorelle delle difficoltà che incontrano a penetrare i cuori di queste persone.
Non riuscire con il proprio esempio a migliorare il loro proporsi alla vita quotidiana, ad avere un atteggiamento più amorevole verso loro stessi ed  i propri cari, ad avere anche rispetto verso se stessi e la natura di quel posto. Come se fossero refrattari ed impermeabili.
Milioni di parole sono state spese, migliaia di gesti e dimostrazioni sono stati compiuti per fare da esempio ma i risultati latitano ad arrivare.
Fare questa attività ma anche farne di altre, che in una fase della mia vita come questa non avevo mai fatto, mi ha sorpreso e fatto riflettere. Non avevo mai partecipato a tante celebrazioni eucaristiche concentrate in così pochi giorni (ma non mi pesavano ed anzi mi piacevano, anche quelle un po' troppo mattiniere): rendersi sempre disponibili e cercare comunque di dare una mano quando si poteva riposare; aver accettato con il sorriso anche piccoli disagi che comunque non avevo vissuto prima..............a tutto questo e molto altro attribuisco una spiegazione.  
E' l'esempio che ho ricevuto dalle Sorelle missionarie.
La missione di Montero è grande; non ne ho visitate molte in verità, ma è comunque ampia ed ha all'interno di essa molte attività, come se fosse una cittadella. Essa è abitata da Missionarie che provvedono tutti i giorni al suo funzionamento e mantenimento: e non credo sia un compito facile. Sono persone molto diverse tra di loro, hanno tutte quante una loro marcata personalità, ed ero molto incuriosito sul fatto di come io avrei reagito a questa convivenza prolungata.
Invece questo è il ricordo più bello che porto dentro.
L'essere stato accolto con rispetto ed amicizia e curato quando ne ho avuto bisogno; aver condiviso  lavori a momenti di svago, aver mangiato o passeggiato insieme, chiacchierato o pregato insieme: sono sempre dei momenti in cui tu, comunque, impari qualcosa da loro.
Sarebbe un discorso lungo, che magari riprenderemo in un'altra occasione, ma quello che mi preme di dire è la tenacia, l'energia, la generosità che dimostrano nel loro servizio missionario.
L'aggrapparsi alla fede ed alla preghiera per ricevere la forza di proseguire, il non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà del loro mandato vale più di qualsiasi altra dimostrazione.
E termino dicendo che tutto questo ti viene mostrato ed elargito in modo naturale, facendoti partecipe se tu lo accetti.
La seconda parte del viaggio l'abbiamo dedicata al turismo, visitando la capitale ed il lago Titicaca, vera meraviglia della natura. Una menzione particolare merita la città di Cochabamba, dove siamo stati ospitati da altre Missionarie nel loro centro missionario. Qui è presente anche una radio, gestita autonomamente, che le aiuta nella divulgazione del loro incarico. E mi rammarico di non aver avuto più tempo per approfondire la loro conoscenza.
Al termine di questa gita siamo tornati a Montero, abbiamo visitato e salutato alcuni bambini di un barrios a cui eravamo perticolarmente legati, saluti di commiato con tutte le Sorelle della missione e nella notte siamo ripartiti per l'Italia.
Un'ultima menzione particolare la merita padre Matthew O'Donnel; persona sempre sorridente e disponibile ed ottimo predicatore; purtroppo la difficoltà della lingua ci ha impedito di approfondire una miglior conoscenza reciproca.
Vi salutiamo con affetto e gratitudine, per sempre riconoscenti.

Adriano e Cristiana.
  

mercoledì 5 ottobre 2011

ORFANO DUE VOLTE


Oggi, durante la Messa mentre ascoltavo il Vangelo e precisamente queste parole di Gesù: “Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato.” (Lc. 9,48), non ho potuto fare a meno di pensare al ragazzo che circa una settimana fa è venuto al servizio sociale e ci ha raccontato la sua triste e commovente storia che desidero riportare più o meno con le sue parole.
“Mi chiamo Kevin, ho 16 anni, vengo da Sucre, non ho mai conosciuto i miei veri genitori. Mia mamma era povera, aveva bisogno di soldi e mi ha venduto quando ancora ero nella sua pancia. Di mio padre non so neppure il nome. Mi ha comprato una coppia già grande di età che, non potendo avere figli propri, mi ha adottato. I miei genitori adottivi mi volevano bene, andavo a scuola, non mi hanno fatto mancare niente. Circa due anni fa sono dovuti andare a Santa Cruz per problemi di salute, ho atteso il loro ritorno per vari giorni, poi guardando le notizie alla tv ho capito che non sarebbero più tornati. Sono morti in un grave incidente in cui si sono scontrati due pullman di linea. Mi sono messo a piangere, non sapevo cosa fare: ero solo.
I vicini di casa sono stati gentili, mi hanno aiutato, ma dovevo pagare l’affitto, tutte le spese della casa e procurarmi da mangiare, ho lavorato, però i soldi non erano sufficienti. Un giorno una vicina di casa mi ha proposto di venire con lei a Montero dove, ha detto, avrei avuto maggiori possibilità di lavoro. Prima di partire mi ha chiesto di mettere nella mia valigia alcuni pacchetti di farina (chissà cosa c’era dentro?!?), dicendomi che se ci fossero stati controlli alla dogana, dovevo dire che ero suo figlio. Grazie a Dio è andato tutto bene, nessuno ha aperto le valigie e siamo arrivati a Montero, abbiamo alloggiato in una stanza in affitto che ha pagato la signora la quale, però se ne è andata e non si è fatta più vedere. Da quando sono qui ho cambiato vari lavori poi mi sono ammalato, avevo bisogno di medicine, ho fatto alcuni debiti, la padrona della casa mi ha detto che dovevo pagare. Durante uno dei vari lavori ho conosciuto una signora con la quale ho fatto amicizia, le ho raccontato la mia situazione e mi ha offerto di andare a vivere nella sua casa. Questa famiglia è numerosa, la signora ha molti figli, nipotini e una nipote della mia età che doveva fermarsi solo per le vacanze scolastiche, ma ormai vive nella casa da molti mesi e sua madre è sparita.
Non ci sono letti per tutti, dormo per terra, però ho da mangiare e un tetto, senza il problema di dover pagare l’affitto. Mi trovo bene, tutti sono gentili con me, però vorrei rendermi utile, spero di trovare un lavoro sicuro per poter contribuire con le spese.
Il prossimo anno penso di tornare a scuola, mi piace studiare, avevo buoni voti, desidero diplomarmi e un giorno diventare medico.”
Kevin, un ragazzo semplice, un altro dei suoi desideri è quello di ricevere il Battesimo, il padre e la madre adottivi erano di un’altra religione, ma lui andava di nascosto alla chiesa cattolica e ha detto se potevamo procurargli un rosario. Mentre raccontava la sua storia era sereno, nelle sue parole non c’era rancore per la mamma che lo ha “venduto” ancora prima di nascere, non c’era disperazione per aver perduto per due volte i suoi genitori (naturali e adottivi) ed essere rimasto completamente solo in una città dove praticamente non conosce nessuno.
Nei suoi occhi e nel suo sorriso ho percepito tanta voglia di vivere e un gran desiderio di conoscere Gesù. Forse non sa che Lui è già nel suo cuore e lo sta accompagnando con amore in questa avventura della sua vita.
Grazie Signore per averci dato la possibilità di accogliere questo ragazzo nel tuo nome.

                                                                                                    Annalisa